Non mi sono svegliato una mattina e ho detto “ho l’ansia”.
Ancora oggi faccio fatica a definire cosa sia davvero l’ansia per me, al di là delle definizioni che possiamo trovare online come quella che segue, presa dalla versione per professionisti del sito msdmanuals.com.
L’ansia è uno stato emotivo stressante e spiacevole di nervosismo e malessere; le sue cause sono poco chiare. L’ansia è meno legata al tempismo di una situazione minacciosa; essa può essere anticipatoria di una minaccia, persistere dopo uno scampato pericolo o si può presentare in assenza di una chiara minaccia.
Al di là del parere dei professionisti ho sperimentato la mia dimensione di ansia, la mia sensazione di allerta costante, non del timore di cosa potrebbe accadere da un momento all’altro, piuttosto dell’incapacità di far accadere ciò a cui puntualmente ambisco.
Dritti al punto
Un po’ di background
Volevo essere un medico! Volevo studiare medicina e diventare un chirurgo.
Non so perfettamente neanche come abbia prodotto questo pensiero, è successo dopo i 18 anni, sentivo fervente la necessità di elevarmi al di sopra della società “media” e quale migliore scelta -stupida- se non quella di ambire al traguardo accademico e professionale più apprezzato dalla società? Diventare medico, una panacea che avevo progettato per sotterrare tutte le mie insicurezze.
Un’altra, l’ennesima. Avrebbe avuto conseguenze forse più importanti di quelle che in fin dei conti ha avuto il non esserci riuscito, il non averci neanche provato.
Le conseguenze sarebbero state più gravi se in effetti non avessi fallito già mille altre volte in mille altre circostanze.
- Volevo diventare un karateka, per questo fin da bambino ho desiderato frequentare corsi di karate e kick boxing, ma le prendevo di santa ragione e quindi ho ripiegato su quanto “fossi bravo” a fare i kata. Altrimenti, chi li avrebbe mai considerati i kata? È stata forse una delle prime escamotage della mia vita, spingere su qualcosa che mi veniva bene mentre tutto ciò che volevo era migliorare in qualcosa che mi veniva male. Nessuno che osservandomi mi abbia detto “guarda Tommi, che se sperimenti, ti impegni, studi e ti alleni tanto, e soprattutto non demordi, i risultati arriveranno”, tutti a dirmi quanto fossi bravo nel fare i kata. Poi il karate l’ho abbandonato, 2 mesi prima di prendere la cintura nera, dopo 7 anni.
- Volevo diventare un giocatore di pallacanestro, ero molto bravo in allenamento (quando nessuno mi guardava), poi puntualmente facevo la figura del cretino ogni volta che scendevo in campo, ansia da prestazione come se piovesse. Quindi ho lasciato anche la pallacanestro.
- È stato anche il momento del giocatore di poker professionista, comprai il doppio schermo solo per fare multi-tabling, ossia giocare su più tavoli contemporaneamente (non ho mai affrontato le cose alla leggera). Anche in questo caso riuscivo ad avere buone performance ma, anche questa volta, limitatamente alla mia dimensione di equilibrio, vale a dire che giocavo alla grande per le prime due ore, dominavo al tavolo e quella stessa sensazione di esser in testa mi “obbligava” a dare il peggio di me non appena avevo il sentore di avere tutto sotto controllo, finivo quindi per giocare da gambler e perdere tutto prima di tutti gli altri. Per fortuna ho capito che il poker non faceva per me, anche se tardi, ci ho perso più di quanto avrei dovuto, e avrei potuto continuare nel peggiore dei modi.
- Poi, poi avrei voluto allenarmi alla grande ed essere in perfetta forma fisica, e anche questa volta ho fatto quel che c’era da fare solo a momenti alterni, qualche mese con una forma invidiabile qualche altro a ingozzarmi di cibo dimenticando l’allenamento.
- Anche l’idea di aprire una mia attività commerciale nel mondo della ristorazione mi è passata per la testa, e allora che ho fatto? Ho fatto un tirocinio in una cucina di un ristorante. Ho imparato a cucinare almeno, ma il ristorante non l’ho aperto.
Ne ho dette e fatte così tante che se provassi a elencarle tutte perderei qualche giorno solo a ricordarle prima di raccontarvele.
C’era una cosa che sapevo fare e guarda caso era una cosa che avevo assimilato passivamente, spinto dalla sola curiosità e non dal desiderio di rivalsa (verso chi?), sapevo mettere le mani sui prodotti digitali e apprendevo con estrema semplicità i concetti che ad altri sembravano difficili anche solo da approcciare.
Uno dei miei migliori amici, Francesco, è un informatico di quelli seri, fin da piccolo “smanettava” col computer che era una bellezza sia guardarlo che ascoltarlo, così mi ci son seduto accanto e ho assorbito come una spugna tutto quel che riusciva a passarmi, mettendoci del mio chiaramente. Ho interpretato il suo mondo a modo mio e l’ho trasformato addirittura in un lavoro.
La prima sconfitta
Non aver indossato il camice bianco è stato il via libera al primo sentimento di sconfitta vera che ha preso forma nella mia testa, in tutti gli altri casi mi sono sempre limitato ad accantonare tutto il marcio e convincermi di aver scelto liberamente di virare.
Forse per l’età un pelo più matura, avevo 19 anni quando scelsi di non frequentare più la quinta superiore e provare con l’esame da privatista per potermi ritagliare il tempo sufficiente a studiare per i test d’ingresso (ho studiato per 3/4 giorni), riesco bene a ricordare che l’impatto con il fallimento che avevo quasi desiderato fu bello tosto.
Venni naturalmente bocciato in sede di esame di ammissione all’esame di Stato, poiché nonostante ci fossero tutti i presupposti per poterlo superare scelsi volontariamente di farmi prendere da un mutismo di protesta, verso cosa nessuno lo sa, e non aprii bocca. Bam, non ammesso!
Non sono ancora certo che quello sia stato il primo impatto consapevole con il fallimento e l’autosabotaggio, so di per certo che avrò sbattuto la faccia mille altre volte senza volermi accorgere di niente mentre quella volta, invece, il colpo lo sentii eccome.
Sensazioni contrastanti
Guardando la precedente esperienza da uno specchietto retrovisore, giusto qualche mese dopo, avrei sicuramente riso invece di disperarmi per l’anno perso.
Nel mese di Dicembre 2011, mentre la quinta superiore la stavo ripetendo, scoprii di avere un tumore al testicolo sinistro.
Mi opero.
La stadiazione (già sbagliata dall’inizio poiché più avanti si scoprirà che avevo una piccola metastasi polmonare) diceva che per via dei marcatori tumorali alterati dovevo fare 3 cicli di chemioterapie.
Li faccio, soffro un botto, guarisco alla grande.
Ebbi un effetto rebound stratosferico, poco dopo la fine delle chemioterapie iniziai ad allenarmi tutti i giorni, ad avere forza, motivazione e concentrazione che non avevo mai avuto e sentivo di avere la vita in pugno.
Tolti uno o due momenti in cui le emozioni mi scoppiarono dentro e vennero fuori con pianti di liberazione violenti, non credo che nei primi mesi dopo l’accaduto ebbi mai la lucidità di fermarmi a riflettere su cosa fosse successo e come fosse già cambiata la mia vita.
Poi ne ho avuto un altro. Un altro tumore all’altro testicolo, nel 2014.
Mi opero di nuovo.
Anche questa volta rientro in gioco alla grandissima dopo un pitstop di pochi mesi. Quasi mi sentivo pervaso dal potere che i Sayan hanno di rigenerarsi dopo esser stati pestati per bene.
Poi è spuntata fuori un’altra metastasi, veniva dal primo, mi ha fatto compagnia per diversi anni perché non me l’hanno saputa diagnosticare prima. È addirittura diventata grandicella a sufficienza da doverla togliere in modo sufficientemente agile da lasciare una cicatrice lunga quanto tutto l’addome.
Questa volta non mi sono ripreso alla grande.
Cosa è successo dopo
Passò più di un anno, quasi due, da quando ebbi la sensazione che nel mio corpo qualcosa non andasse a quando finalmente fui operato per la terza volta.
Ho avuto tutto il tempo di sperimentare cosa significasse avere l’ansia.
In questo post non voglio parlare di come sia nata, ho soltanto francamente accennato un paio di episodi per me importanti nel suo percorso di comparizione. Sono invece certo che i quasi due anni di mancata diagnosi abbiano drasticamente influito sul fatto che da quel momento sia diventata tutt’uno con me, da quel momento in poi non ci siamo più separati.
Complice non soltanto la mancata diagnosi e la convivenza con qualcosa che il mio corpo sentiva chiaramente non essere al proprio posto, anche e soprattutto le conseguenze di questo ritardo hanno giocato un ruolo decisivo nell’incollarmela addosso.
Cosa succede quando hai l’ansia
Succede che a seconda del tuo output, del tuo modo di esternarla, della tua attitudine a trattenerla e di un sacco di fattori esterni, lei si accumula e poi inizia a esplodere a intervalli più o meno regolari.
Almeno, così è stato per me.
- C’è chi ha attacchi di panico. Io.
- C’è chi somatizza sul corpo. Io.
- C’è chi esaspera le emozioni. Io.
- C’è chi appiattisce le emozioni. Io.
- C’è chi smette di uscire, guidare, stare tra la gente. Io.
- C’è chi smette di lavorare. Io.
- C’è chi smette di mangiare. Io.
- C’è chi mangia troppo. Io
- C’è chi smette addirittura di sognare, sia di notte che di giorno. Io.
Da quando ho l’ansia ho smesso di fare tante cose. Tante cose non le ho neanche mai fatte prima ma il solo fatto di poterle fare mi ha sempre reso libero, mentre da quel preciso momento in poi, da quando l’ansia è comparsa, non ho potuto fare altro che sentirmi schiavo.
Quando uno ha l’ansia, o meglio, da quando io ho l’ansia ho la fissa sensazione che ci sia sempre qualcosa di dimenticato, che tutto ciò che mi circonda e mi accade non sia altro che una preparazione a ciò che verrà dopo.
La tenacia e la mia innata propensione al bene mi hanno spinto a convincermi che ciò che sarebbe venuto dopo non sarebbe necessariamente stato male, al contrario.
La mia ansia non ha colpito la mia speranza. Aspettate, riformulo: la mia ansia ha smesso di colpire la mia speranza. Ci sono stati momenti in cui anche la speranza è andata a farsi fottere ma per fortuna li abbiamo quasi tutti accantonati.
Quindi, l’ansia non mi ha battuto, non mi ha tolto la voglia di vivere, mi ha solo sfinito a furia di chiedermi giorno per giorno di lottare per vedere chi fosse il più forte.
Il perché di Krabers.com
In pratica faccio a cazzotti con “qualcuno” da ormai diversi anni e puntualmente le prendo, come quando facevo karate. Questa volta però non smetto più di prenderle, la voglia che ho di riempire la mia vita di qualsiasi cosa mi passi per la testa è tanta da star imparando lentamente (questa volta sì) che ce ne si può fregare di tutto quello che c’è da dimostrare al mondo intero, questa volta continuo a prenderle finché non imparo a darle.
E qualche pugno l’ho dato.
Sono passato dalla paura di guidare alla paura di guidare da solo. Poi ho iniziato a schivare qualche colpo e sono passato dalla paura di prendere l’aereo alla paura di prendere l’aereo da solo. È un’evoluzione. È ancora un limite, è ancora un match a favore dell’ansia ma ci stiamo lavorando.
Qualche giorno fa (mentre scrivo è il 13 ottobre 2021), ho pensato al miglior modo per attaccare e mettere a segno qualche punto. Ho prenotato un volo per gli Stati Uniti, direzione Los Angeles. Parto l’anno prossimo, ad Agosto. Dieci ore di volo mi mettono l’ansia anche con più di 300 giorni di anticipo.
Ho l’ansia dell’areo, del defibrillatore a bordo che sia funzionante, del mare che ci sarà sotto, del tempo per tornare. Ho l’ansia delle persone che sanno che dovrò partire e di cosa penseranno se non dovessi farlo. Ho l’ansia di deludere. Ho l’ansia di non essere capito. Ho l’ansia di avere l’ansia.
Quindi vaffanculo, ho l’ansia di tutto ma il volo l’ho comprato lo stesso.
Krabers.com l’ho aperto perché voglio condividere con un po’ di persone i piccoli risultati della mia vita che in fondo possono essere i piccoli risultati della vita di chiunque si impegni per ottenerli. Voglio condividere con tutti il fatto che vivere con l’ansia è possibile, lentamente è possibile anche dimenticarsene, lasciarla dietro per un po’.
Una volta, ero a Londra, fermandomi per le strade di Liverpool Street scattai una foto per immortalare ciò che soltanto io vedevo dietro la fotocamera: era la prima volta che tornavo a girare da solo per strada, e avevo scelto di farlo in una città che non era la mia.
Era il mese di Agosto 2018, riprendevo in mano la vita a piccole dosi dopo i due anni precedenti in cui avevo sperimentato le grandi incertezze di salute di cui vi ho parlato sopra, scelsi che dovevo darci un taglio con quella insensata paura di allontanarmi da casa. Mi dissi “se adesso vado più lontano di quanto lo ritenga possibile e se riesco a resistere, anche soffrendo, almeno qualche giorno, avrò la consapevolezza che niente può succedermi”. Immaginate lo sforzo, facevo fatica a uscire dal cancello del mio giardino figuriamoci ad andare in un’altra città.
Non so come, presi un aereo e andai a Londra da Francesco.
Pubblicai un post su Instagram, appena arrivato sentii il bisogno di scrivere un mio pensiero.
Esistono avversari di fronte a cui non si può far altro che dichiararsi sconfitti. Non è detto che indietreggino, ma è possibile che prima o poi, anche per un attimo, smettano di attaccare.
Ed è stato vero. Per qualche tempo il mio avversario ha smesso. Poi ha ripreso, ma già so che avremo molto da combattere.
Per questo ho aperto questo blog, per dire a tutti che se io ho imparato a prenderle e ogni tanto riesco a darle, possono farlo tutti.
Quando nel titolo ho lasciato intendere che la mia ambizione fosse quella di diventare una “persona normale” parlavo proprio di questo, non pretendo più di liberarmi dall’ansia, dal mio passato e dalle cose che non conosco e mi mettono a disagio, piuttosto continuo a lottare per riuscire finalmente a riconoscere che tutte queste imperfezioni fanno di me una persona normale.
Da ora in poi, senza impegno, senza regolarità e senza promesse, condividerò qui su queste pagine piccoli pezzi della mia vita quotidiana, per testimoniare come prosegue, come migliora e se necessario come peggiora la mia vita. Sono infinite le volte in cui ho sperato di poter spiare i pensieri di chi avesse vissuto quello che stavo vivendo io.
Vorrei che Krabers fosse non un blog personale qualsiasi, ma il blog di tutti quelli che “come i granchi” vanno per la propria strada camminando di lato, con un modo alternativo di avanzare, trovando soluzioni, magari più di una, agli ostacoli che la vita inevitabilmente pone quando ci si aspetta che l’unico modo di proseguire sia quello di andare dritto.