Pensieri introspettivi

Il peso degli errori, dell’identità e della RAM sempre piena

schermi vuoti tommaso
Written by Tommaso

C’è un momento particolarmente delicato nella vita delle persone, e il rischio maggiore che si corre è quello dover attraversarne decine di momenti così.

Parlo del momento in cui, guardandosi alle spalle, non si abbiano né rimorsi né rimpianti, o almeno non subito. Il momento immediatamente precedente a queste due sensazioni che tutti conosciamo è addirittura peggiore perché non porta con sé né la liberazione del rimorso né la sofferenza del rimpianto, è il momento in cui si guardano gli errori commessi da un occhio esterno, un momento di vero vuoto.

Chiunque ci sia passato, chiunque abbia attraversato un momento di merda sa quanto possa essere peggiore il vuoto rispetto al dramma, il nulla rispetto al caos.

Ognuno affronta quel momento a modo proprio, consapevole di poter utilizzare o meno le armi a propria disposizione ma profondamente immobilizzato dal senso di impotenza che si frappone fra il prendere in mano la propria vita e la paura che si prospetta al di là dell’azione, che seppure sia in grado di allontanarci da quegli errori è pur sempre un’azione atta a spostare un equilibrio, a smuovere emozioni, distruggere abitudini (sane o meno), comunque cambiare.

Dritti al punto

Cambiare!

I Social Network ne sono pieni, gente che cambia, frasi motivazionali, psicologi e mental coach da mercato che indicano con un dito puntato la strada del cambiamento.

LinkedIn, Instagram, TikTok, post di cambiamento in ogni dove, persone che prendono in mano la propria vita da un giorno all’altro e cambiano radicalmente chi sono.

Ma come fanno?

Cambiare, o meglio, il cambiamento, è un processo personale, impossibile da consegnare preconfezionato a qualcuno pretendendo che segua alla lettera le indicazioni che gli abbiamo dato. Lo sappiamo per noi stessi, lo sappiamo quando proviamo a cambiare, lo sappiamo se proviamo a migliorare, lo sappiamo quando a tutti i costi tentiamo di allontanarci da un comportamento o un pensiero disfunzionale ma sembra che non lo sappiamo mai quando questo cambiamento lo proponiamo agli altri.

A volta è il contesto a scegliere per noi, e anche se questi pensieri buttati lì possono sembrare cianfrusaglie emotive, vi assicuro che un senso ce l’hanno, lasciatemi spiegare…

Due mesi fa più o meno, non ho scelto di cambiare, sono stato costretto a farlo! Se avete letto il primo post di questo blog avete capito che rapporto ho con le emozioni, l’ansia, e tutti gli annessi e connessi che sicuramente nella vita di ciascuno prima o poi han bussato o busseranno alla porta.

Per anni, almeno tre o quattro, ho vissuto concentrato (anche se dissociato suona meglio) all’interno di una bolla fatta di performance, compiacimento, manipolazione e forte desiderio di affermazione, una deriva narcisistica di insicurezza appianata da cose materiali, da pensieri superficiali come “devo impegnarmi a fornire la migliore immagine di me”.

Quando passiamo tanto tempo impegnati a consegnare agli altri la nostra migliore immagine, diventiamo quell’immagine, ma è col tempo che ho capito che il nostro cervello funziona esattamente come un computer.

Sapete cosa è la RAM? È quella memoria (facciamola facile) che conserva le informazioni a cui dobbiamo poter accedere istantaneamente:

  • hai bisogno della risposta pronta? Tieni aperto lo slot delle performance.
  • Ti occorre mentire per salvaguardare qualcosa? Tieni aperto lo slot della menzogna.
  • Hai proprio bisogno di quel qualcosa ma da solo non riuscirai mai ad ottenerlo? Ricorda di avere sempre a portata di mano lo slot della manipolazione.

Aggiungete 10 punti alla lista e vi ritroverete con una marea di input sempre accesi, sempre pronti a saltar fuori, sempre in ascolto del mondo circostante, delle emozioni degli altri e del loro feedback, dimenticando che la RAM ha uno spazio definito, che quando quello spazio finisce la memoria si sovraccarica e inizia a performare una merda, che se proprio siete bravi a smanettare con la tecnologia una parte dello spazio lo allocherete ad altri tipi di memoria ed è lì che farete una cazzata, perché starete inficiando chi siete davvero, mischiando l’identità all’occorrenza, gli altri a voi stessi.

E quindi due mesi fa son cambiato, o è cambiato il mondo intorno a me.

Tutte le certezze che avevo, ciao.

Cambiare?

Questa è bella, è davvero cambiato tutto?

Al di là del dettaglio dei fatti che non fregano a nessuno, almeno non adesso, svuotare la RAM dopo aver lasciato accavallarsi tutti i processi e vedere il proprio lavoro sputtanarsi tra finestre che si chiudono, schermate che si bloccano e documenti non salvati è davvero un cambiamento?

Ogni quanto spegnete il pc?

La parte migliori di voi è quella in cui le ventole stanno al massimo perché le applicazioni aperte son troppe o quella in cui il pc è appena acceso, riavviato, libero?!

Senza quegli slot di pensiero aperti che rappresentano il lavoro, le relazioni, la famiglia, non possiamo di certo vivere, non siamo tutti monaci impegnati nel sacro rito della meditazione, dovremmo pur mangiare, andare al bar con amici, vedere un film su Netflix e magari passare qualche ora al mare se ci va, quindi inutile girarci attorno, l’impegno serve, ci caratterizza, ci forma, ci identifica ma non deve cambiarci.

Quanto è difficile spiegarlo, è tuttavia così semplice dirlo: siamo chi siamo anche senza contesto.

Due mesi fa credevo di star perdendo tutto, tutte le certezze, tutti gli equilibri, tutte gli elementi che concorrevano alla mia persona, invece stavo solo riavviando il sistema e ritrovando chi fossi, non stavo cambiando, stavo imparando di nuovo quali schede aprire, soprattutto quali chiudere o lasciar chiudere da qualcuna ltro, quali tasti premere.

Ancora non lo so, un computer e un’identità possono avere un momento di black out, ma non è detto che quel momento duri il tempo del riavvio, può succedere che manchi la corrente e manchi per un po’. Nel mio caso credo che la casa sia ancora al buio, figuriamoci che speranze abbia di accendere il computer, per fortuna so che da qualche parte c’è un interruttore in centrale che qualcuno prima o poi dovrà premere e allora potrò riavviare tutto.

About the author

Tommaso

Gran parte della giornata passa lavorando. Facendo due calcoli, se dormo 8 ore e lavoro 8 ore me ne restano altre 8 per fare ciò che voglio e magari divertirmi. Di solito, 7 le impiego per decidere cosa fare, 30 minuti per prepararmi, 20 per spostarmi, 10 minuti pieni per godere del tempo libero. A questo punto resto a casa e apro un blog!

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